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MARCO
L
A ROSA

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Marco La Rosa (Brescia, 1978). Nel 2011 si diploma in Arti Visive all’Accademia Santa Giulia di Brescia, dove insegna dal 2018 dopo la laurea del 2005 in Giurisprudenza. Dal 2011 espone in Italia e all’estero, principalmente collettive presso musei e istituti di cultura, tra cui: Centro San Fedele di Milano (vincitore nel 2012 del premio), PAV di Torino nel 2013, Museo Diocesano Tridentino di Trento nel 2014, Museo RISO di Palermo nel 2014, Casa Matei Corvin, Cluj-Napoca, Palazzo della Permanente di Milano nel 2015, MAC di Lissone nel 2016, Museo San Rocco di Trapani nel 2017, Palazzo Ducale Mantova e Castello di Lajone nel 2018, Venezia Art Factory per Metaxy art collective di IUAV nel 2021; tra i recenti i solo show al Museo Collezione Paolo VI nel 2016, Spazio Cordis di Verona nel 2019, Palazzo Bertazzoli di Bagnolo Mella nel 2020, A+B gallery 2011 e 2016.





Nella ricerca di Marco La Rosa si mescolano reminiscenze di un passato arcaico-classico e  spinte innovative della contemporaneità. I suoi lavori fanno propria la metafora del viaggio, sia nello spazio che nel tempo, facendo proprie le suggestioni del mito.

Le sue opere concretizzano alcuni episodi di un agognato ed universale ritorno a casa. Alla suggestione speculativa, si unisce una ricca e diversificata pratica estetica, che indugia su preziosi dettagli come il trattamento delle superfici, le raffinate scelte cromatiche e varietà dei materiali impiegati.

L’ideale arco di una modernità che - a partire dalle ricerche neo-plastiche, fino al minimalismo e alle sue versioni post-moderne - mira a sintetizzare la realtà e comprenderne l’essenza è l’humus da cui prende le mosse la ricerca di Marco La Rosa, cui si mescolano reminiscenze di un passato arcaico e spinte centrifughe della bruciante contemporaneità.

I suoi lavori fanno propria la metafora del viaggio, sia nello spazio che, appunto, nel tempo. In quest’ultimo senso sono esemplari le sculture della serie Giorni, in cui l’artista trasla regolarmente parentesi quotidiane di vissuto in pochi, semplici elementi: colore, materiali, forme. Le plastiche della serie Pelagos si nutrono di riferimenti che vanno ancora più indietro, facendo propri i tempi del mito, tra cui alcune suggestioni dalla letteratura epica classica. Rieccheggiando il viaggio dell’eroe omerico, le opere concretizzano alcuni episodi di un agognato ed universale ritorno a casa.
Alla suggestione speculativa, si unisce una ricca e diversificata pratica estetica, che indugia su preziosi dettagli come il trattamento delle superfici, le raffinate scelte cromatiche e la varietà dei materiali impiegati che introducono la ragione nell’alveo della poesia, la cultura nel flusso della vita. Esemplare è il Dodecaedro, uno dei cinque solidi platonici, misterioso oggetto di studio fin dall’antichità. Fu infatti il filosofo Platone ad associare questi solidi a ciascuno degli elementi: dopo fuoco, terra, aria e acqua, al dodecaedro fu assegnato l'etere, materia dei corpi celesti e dell'anima. Tuttavia il solido non può che paradossalmente apparire a noi quale manifestazione del mondo sensibile: aperto alla poesia della materia, sarà un ricordo lontano di quel mondo delle idee, tanto agognato quanto sfuggente e impossedibile.


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